Egregio Dottore,
sono madre di una ragazza 28enne da 7 anni tormentata dalla bulimia che solo ora mi confessa l’impossibilità a uscirne con le varie autoterapie, libri e internet.
I primi anni in cui iniziando la vita da single ha subito manifestato problemi di anoressia dalla quale, parlandone a lungo, è riuscita ad uscirne, riprendendo peso e regolarizzando il ciclo mestruale. Il tunnel dove ora è entrata è subdolo e solo ora capisco che non ce la può fare. Vorrei aiutarla ma sono solo una madre smarrita e spaventata.
Cara Signora,
i disturbi alimentari sono figli del nostro tempo e della nostra cultura, tanto che essi sono praticamente sconosciuti nei paesi nei quali la magrezza non viene considerata una virtù, e neppure in occidente erano così diffusi in passato; essi inoltre, devo precisarlo, possono coinvolgere problematiche di natura medico-sanitaria che travalicano il mio ruolo di psicoterapeuta.
L’anoressia consiste in una ricerca fanatica della magrezza correlata ad una opprimente paura di ingrassare, mentre la bulimia, che permette di mantenere un peso relativamente normale, si caratterizza dalla presenza di abbuffate e dall’uso spregiudicato di purganti. Volendo distinguerle sul piano caratteriale in un linguaggio non tecnico, possiamo dire che la prima denuncia una struttura più rigida e un ossessivo autocontrollo, mentre la seconda, a causa di un pesante indebolimento di tale struttura, dimostra incapacità nel posticipare le soddisfazioni e gli impulsi. Sintomi e tratti personologici che, in periodi diversi ma non solo, come lei osserva, possono presentarsi all’interno dello stesso individuo, tanto che anoressia e bulimia sono spesso considerate due facce della stessa medaglia.
Un elemento che merita una certa attenzione riguarda la peculiarità dei rapporti che si instaurano all’interno del nucleo familiare dei soggetti portatori di tale problematica, relazioni spesso centrate su reciproci invischiamenti connessi, ma non solo, con la richiesta da parte dei genitori di modificare le condotte alimentari delle figlie.
Indipendentemente dalle ragioni profonde di tali invischiamenti, quello che mi pare utile sottolineare è che, in tali situazioni, la famiglia, contrariamente ad ogni buona intenzione, perde il proprio ruolo di sostegno, divenendo l’amplificatore delle problematiche del soggetto. Per questa ragione tali disturbi sono difficilmente risolvibili al suo interno e diventa invece indispensabile l’intervento di un professionista capace di fornire gli idonei strumenti di lettura del problema.
Per ragioni analoghe inviterei ad evitare soluzioni “fai da te”, assolutamente inadeguate e spesso assai pericolose.
Diverso ancora è il discorso della gestione di questo problema nel caso in cui si innestino problematiche di natura sanitaria che richiedano un ricovero ospedaliero, come l’alterazione dell’equilibrio elettrolitico che può condurre ad arresti cardiaci, per la bulimia, o la perdita di peso del 30 % rispetto al normale peso corporeo, per l’anoressia. Questioni che mi sento di segnalare non certo in base alla mia specifica competenza ma al fine di sottolineare la pericolosità di una sottaciuta o sottovalutata presenza del problema.
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